Prendersi cura dei migranti costituisce una nuova sfida per le attuali strutture operative dei servizi in generale, e per i servizi sanitari in particolare, e richiede un ripensamento globale e permanente per quanto riguarda sia l’offerta che le procedure per decodificare la domanda. Ciò che determina la complessità del percorso di cura nel rispetto delle differenze è il fatto che esso non può aversi senza che i professonisti non prendano consapevolezza e non neutralizzino i propri pregiudizi ed eventuali forme di razzismo, maturando anzi una coscienza anti-razzista. Tuttavia, l’attenzione a questa questione non è diffusa né particolarmente condivisa, né trova gli spazi necessari durante la formazione dei medici e degli operatori sanitari dei servizi in generale. È necessario, quindi, per prima cosa allargare la relazione tradizionale medico-paziente (spesso articolata nella diade medico soggetto/paziente oggetto) finché non sia riconosciuto che entrambe le parti hanno un doppio ruolo, sia come soggetto che come oggetto, all’interno del processo di aiuto. Il modello transculturale si basa sul concetto di reciprocità: ciò che il rapporto transculturale comporta è un processo parallelo di ridefinizione dell’identità, tanto del medico o del servizio dell’operatore sanitario quanto del paziente: per l’efficacia della relazione di cura, è necessario per entrambi non dare per scontato i parametri di riferimento, ma verificarli superando le proprie resistenze. Perché ciò sia possibile, appare necessario implementare programmi di formazione all’interno dei quali trovino spazio le strategie da adottare, in modo da combattere il razzismo e le implicazioni che questo può avere nello svolgimento dei ruoli e delle funzioni di cura.